domenica 21 giugno 2009

Barberina non ne sapeva nulla

Barberina non ne sapeva nulla. Credeva d’esser libera, di tornar fuori, di poter escire da quel luogo e stendersi ancora sopra la terra dura e fredda e dormire sul lastrico della via o all’ombra della porta di qualche chiesa, col cielo sopra il capo, puro e sereno, scintillante di stelle, di quelle migliaia di stelle che conosceva e guardava attentamente fin da quando era bambina, e che le pareva non dovessero essere mai vedute dalle finestre anguste di quella casa.

Voleva andar via e aspettare il levar del sole per cercarsi di nuovo del pane e del lavoro; voleva andare la mattina seguente all’ospedale per raccomandarsi alla monaca della sua infermeria.

Essa pensava a tutto questo mentre, decisa di andarsene, aspettava la risposta della signora. Si figurava la notte chiara e fredda che si stendeva sulla città, e le prime luci dell’alba, e le ultime stelle che impallidivano all’orizzonte, morendo dolcemente affogate nella luce del giorno, e le ricordava ad una ad una come fossero amiche, e non provava più la paura dell’andar fuori sola di notte; le pareva di non dover temere più nulla una volta che avesse potuto escire da quella casa.

Ma era venduta.

La donna lo sapeva, e la guardava con l’indifferenza con la quale un bambino guarderebbe il suo uccellino abbandonare la gabbia, mentre tiene fra le mani il filo invisibile, ma sicuro, che gli ha legato al piede.

Non ardiva però ancora dirglielo, perché non si sentiva sicura di averla interamente in poter suo.

Non ti sei forse presentata volontariamente? ‒ disse. ‒ Io non ti ho cercata, non ti ho voluta; ti sei fatta raccomandare da una donna ben nota alla polizia e a noi; vorresti darmi ad intendere che era un fine innocente e puro quello il quale ti consigliò a valerti dei suoi servizi e di andare nella sua casa? eh, innocentina?

La donna si mise ancora a ridere. Sapeva bene che abusava infamemente dell’inesperienza di questa infelice, ma l’aveva già fatto tante volte; s’era arricchita a quel modo; e soleva sempre dire a se stessa: chi per troppi scrupoli non sa tirar l’acqua al suo molino finisce un giorno o l’altro miseramente sulla paglia.

La sua furberia e naturale perspicacia, la lunga esperienza acquistata in queste cose, le avevano insegnato a leggere chiaramente nell’animo delle disgraziate dalle quali traeva, come un proprietario di schiavi, il suo guadagno e le sue ricchezze.

Vedeva bene nell’animo di questa, il candore verginale, l’ingenuità dell’innocenza. Ma che cosa gliene importava? Non era anzi una ragione di più per tenersela, non erano quelli dei pregi che i suoi clienti le avrebbero pagato a caro prezzo? che cosa v’era nel mondo, per quella donna, che non si potesse vendere?

Essa si sentiva ormai sicura del fatto suo. Aveva troppi mezzi disponibili per dubitare che questo pesciolino uscisse vivo dalla rete.

Nessun commento:

Posta un commento