domenica 26 aprile 2009

La Barberina guardava e toccava con maraviglia il bel vestito che doveva indossare

Le intimò di vestirsi e ripulirsi, perché la signora di gente mal vestita in casa sua non ne voleva, e siccome la ragazza chiedeva sempre quali erano i servizi che doveva fare e perché non la mettevano al lavoro, la donna le disse che bisognava che prima la si rivestisse.

‒ La roba sua la metta tutta insieme, ne faccia un involto e lo dia a me; la sua roba la riporremo, e quando lei andasse via di qui, le sarà tutta riconsegnata.

La Barberina non ci capiva proprio niente a questi discorsi, ma il fare autorevole, quasi prepotente della donna l’intimidiva troppo, perché ardisse di interrogarla o di opporsi alla sua volontà.

‒ Debbo vestirmi subito? ‒ domandò tutta confusa la ragazza.

‒ Ma sicuro; sono qui per questo e aspetto di ricevere la sua roba.

La Barberina guardava e toccava con maraviglia il bel vestito che doveva indossare. Non ne aveva mai portati di così belli, né in colori tanto chiari. Le faceva piacere di mettersi addosso quella bella stoffa, eppure provava una ripugnanza nascosta e dolorosa all’idea di dover svestire il modesto abitino di tela che le aveva comprato la sua buona signora di prima.

Era un abitino scuro, e la sua signora le aveva sempre detto che una ragazzina nel suo stato non doveva mettersi certi abiti di colori chiassosi o fatti alla moda, come quelli delle signore. La sua prima padrona le aveva dato più volte dei buoni consigli, le aveva parlato dei pericoli che minacciano le giovanette abbandonate, le imprudenti e leggere; ed ora, improvvisamente, quei consigli si affacciavano alla sua memoria, e le pareva di udire in sé una voce che le gridasse di non levare il suo povero abitino e di non mettere quella bella veste.

E a misura che così pensava e che sentiva nascere in sé le incertezze del timore, svaniva in lei tutto il piacere di mettersi quella bella biancheria, di provarsi quel bel vestito.

La donna incominciava a dare segni manifesti d’impazienza.

‒ Insomma, ‒ disse finalmente, ‒ a che fine volta e rivolta ogni cosa fra le mani? Sono qui ad aspettare e non ho tempo da perdere.

‒ Ma è proprio necessario... ‒ azzardò timidamente la Barberina, ‒ che io mi metta oggi questa veste?

‒ Ma sicuro eh! Vorrebbe forse starsene a quel modo? La signora l’ha ordinato e mi pare che la dovrebbe essere contenta. In confronto di... ‒ ma qui la Barberina l’interruppe vivamente.

sabato 25 aprile 2009

La ragazza si allontanò dalla finestra.

La mobiglia della camera era piuttosto bella, e la povera ragazza stette un pezzo prima di risolversi a mettersi a sedere sopra una di quelle belle seggiole ricoperte di una stoffa in lana rossa, simile a quella che aveva ammirata tante volte nel salotto dei suoi antichi padroni.

Passò del tempo prima che venissero a chiamarla o a portarle la roba promessale dalla signora.

Che gran signora doveva essere, pensava fra sé la Barberina, se le regalava subito, appena entrata in casa sua, e se voleva che le sue persone di servizio fossero tutte ben vestite!

Le finestre della camera erano aperte, ma le gelosie chiuse sino a metà altezza della finestra non lasciavano penetrare nella camera senonché la luce che veniva dall’alto.

Barberina, stanca di starsene oziosa ad aspettare, s’avvicinò alla finestra e volle aprire le gelosie.

Ma erano chiuse e assicurate in modo che non le riescì di aprirle.

Guardò allora traverso le piccole sbarre di legno e vide un giardinetto chiuso fra delle case e delle mura, umido e malinconico, senza che in esso crescesse neppure un fiore; delle donne litigavano in un cortile vicino, e le loro voci stridule, e le parole ingiuriose e sconce che profferivano, arrivavano chiare e distinte agli orecchi della Barberina, quasi fossero vicine a lei o nella stessa camera.

La ragazza si allontanò dalla finestra.

Le metteva malinconia il guardare in quel giardino buio e desolato, e anche le voci di quelle donne le mettevano una certa paura addosso, come se quelle ingiurie oscene fossero dirette a lei.

Finalmente la fantesca di prima ricomparve, portando sul braccio della roba.

‒ Ecco quello che le manda la padrona per rivestirla; il resto l’avrà poi. Badi che questa roba gliela consegno io, che è sua, e che non voglio poi delle storie, e che s’abbia a dire che non l’ha avuta o che io non gliel’ho data.

Barberina, un po’ offesa e un po’ sgomenta dal tono imperioso della fantesca, e dai sospetti che manifestava, ringraziò timidamente, dicendo che sarebbe sempre stata grata alla signora della sua bontà; ma la donna tagliò corto a questi discorsi, dicendo che la stesse attenta alla roba che le consegnava; e le presentò un bel vestito di lana leggera, in colori chiari, e fatto come quelli delle signore; le dette della bella biancheria e le fece provare due o tre paia di scarpe, perché scegliesse quel paio che le stava meglio.

venerdì 24 aprile 2009

Era uno sguardo duro e fisso che le metteva paura

Era uno sguardo duro e fisso che le metteva paura.

‒ Va bene, ‒ disse con tono freddo e indifferente la signora, mentre la fissava sempre; ‒ va bene, se volete, potete restare...

Barberina, vincendo la sua timidità, volle ringraziarla, ma la signora l’interruppe con un sorriso freddo e ironico.

‒ Basta, basta. Andate su, non ho tempo da perdere; questa donna vi indicherà la vostra camera e vi porterà un vestito e della roba; non potete restare qui con gli abiti che avete addosso.

La ragazza, confusa, non sapeva come esprimerle la sua riconoscenza, e le disse che la mettessero pur subito a lavorare, che avrebbe incominciato volentieri il suo servizio, perché si sentiva bene e non aveva bisogno di riposare.

‒ Saprete poi quello che dovrete fare, ‒ rispose la signora, con quella sua solita aria di sprezzo; ‒ per oggi non ho bisogno di voi. Andate.

Barberina non ardì rispondere, fece un inchino, salutò con uno sguardo e un sorriso affettuoso la vecchia, la quale, desiderando forse di restar sola con la signora, le fece cenno di seguire una persona di servizio che l’aspettava sull’uscio.

‒ Mettila nella camera rossa, al secondo piano, ‒ disse la signora alla fantesca, mentre questa stava per escire, seguìta dalla Barberina.

La donna, senza aprir bocca, fece camminare un pezzo la Barberina per degli anditi, le fece salire delle scale, e finalmente, dopo essere andata a cercare una chiave, si fermò davanti ad un uscio, l’aprì e la fece entrare in una bella camera, ariosa, pulita, nella quale era un bel letto parato.

‒ Questa è la mia camera? ‒ esclamò la Barberina. ‒ Una così bella camera per me?

‒ Sì, ‒ rispose laconicamente la donna, ‒ questa camera è la sua: ‒ e fece una mossa per andar via.

‒ Ma che cosa debbo fare? ‒ domandò la Barberina maravigliata. ‒ Dov’è la cucina, dove debbo andare per fare il mio servizio?

‒ Per ora stia qui, ‒ rispose ancora la fantesca.

‒ Mi manderanno qui il lavoro? dovrò forse cucire di bianco? Oh, mi insegni un poco lei, quello che devo fare! Vorrei proprio farlo per bene il mio dovere e accontentare la signora.

‒ Per ora non ci pensi: ‒ replicò l’altra imperiosamente. ‒ La signora vuole che la stia qui; obbedisca senza chieder tanto; vedrà che se ne troverà contenta: ‒ e andò via, lasciando la Barberina più maravigliata di prima.

mercoledì 22 aprile 2009

Il modo di guardare de’ compratori di pecore e di vitelli

La casa alla quale erano dirette le due donne non distava molto da quella della vecchia. Era situata anch’essa in una via stretta e buia, nella quale regnava una grande tranquillità e un gran silenzio. Le carrozze vi passavano di rado, v’erano poche botteghe, quasi tutte povere e mal fornite, e sebbene quella via fosse situata quasi nel centro della città, pure era così poco frequentata, come fosse posta nella parte più remota di essa.

Quando Barberina entrò nella porta di quella casa, fu maravigliata di trovarsi di faccia ad una bella scala con tappeti, con imbottiture di velluto alle ringhiere di ferro, con eleganti candelabri ornati da gran palle di vetro fine, lavorate e scannellate.

Quel lusso l’intimidì, e nel mettere la grossa suola delle sue scarpe su quel bel tappeto a fiori, le pareva d’insudiciarlo, e salì tutta confusa e sgomenta, pensando che se anche il quartiere dei suoi futuri padroni era tanto di lusso, non si sarebbero mai potuti accontentare del servizio d’una povera ragazza, com’era lei.

A destra, al primo piano v’era una bella porta con vetrata in colori, mentre dall’altra parte, proprio dirimpetto, era una porticina semplice e chiusa come se non vi stesse nessuno; ma la vecchia si fermò subito precisamente davanti a quella, come conoscesse da un pezzo la casa, e tirando la cordicella di un campanello mezzo nascosta dietro al telaio della porta, disse alla Barberina:

‒ Eccoci!

La porta s’aprì poco dopo e una donna di mezz’età salutò familiarmente la vecchia, dicendole che la padrona l’aspettava, e aggiungendo:

‒ Passate, passate, essa v’aspetta nel salottino dei conti. ‒ Le fece entrare.

La Barberina si trovò in un andito pressoché buio, lungo lungo, e seguì la vecchia quasi a tastoni.

Il cuore le batteva forte forte.

Doveva vedere una nuova padrona e presentarlese per la prima volta; e la poverina tutta sgomenta, pensava che certamente non sarebbe piaciuta, che era troppo rozza e ignorante per servire una signora che abitava in una casa tanto bella, che la sua timidità e la sua inesperienza sarebbero apparse in ogni sua parola, e tremava di non essere ben accolta.

La signora, alla quale la Barberina fu presentata quasi subito, era ancora una bella donna di forse quarant’anni. Vestiva con eleganza ed alla povera ragazza parve superba e severa.

La signora, dopoché la vecchia le ebbe parlato, guardò la Barberina da capo a piedi con una cert’aria sprezzante e sfacciata ad un tempo, che rammentò alla poveretta il modo di guardare de’ compratori di pecore e di vitelli, quando venivano su nei suoi monti per fare degli acquisti.

lunedì 20 aprile 2009

Su via, bella ragazza, non c’è tempo da perdere, è tardi.

Ma la Barberina non si svegliò se non quando la vecchia, dopo averla scossa e chiamata più volte, le disse forte:

‒ Su via, bella ragazza, non c’è tempo da perdere, è tardi. Avete dormito un pezzo e la signora vi aspetta.

Barberina si fregò gli occhi, si rialzò, e passando più volte le mani sul viso, come per togliersi a quel modo più presto di dosso la grave sonnolenza che provava, si rammentò confusamente di quel che le era seguito nella mattina. Ebbe un momento di paura nel rammentarsene, ma la presenza della vecchia la rincorò.

Si alzò sorridente, la ringraziò di nuovo, e seguì docilmente i consigli della donna, la quale volle che la si ripettinasse, che si lavasse, che rimettesse con garbo il fazzolettino che portava intorno al collo.

‒ È una signora che ci guarda a queste cose, ‒ disse; e poi, vedendo che la Barberina prendeva l’involto dei suoi panni, le domandò: ‒ Vuol portarsi dietro quella roba? La lasci a me; sono una povera vecchia e per me tutto è buono, ma una bella ragazza come lei non può più portare quei cenci, che le hanno servito perfino all’ospedale. La signora le passa tutto il vestiario.

Alla Barberina non parve vero di sdebitarsi un poco verso quella donna, che si era meritata da lei tanta riconoscenza; un po’ confusa e arrossendo di non poterle dare di più, le offrì senz’altro tutto il suo involtino, dicendo:

‒ Le sarò grata se vorrà accettarlo. ‒ E la vecchia lo prese, dicendole che era una brava ragazza, che aveva proprio un cuor d’oro, e con queste parole s’avviò per escire, seguìta dalla Barberina.

Chi avesse visto in quel momento il viso della Giustina, che spiava dietro un uscio per vedere e sentire ciò che faceva e diceva la sua vecchia padrona, chi l’avesse vista poi, correre alla finestra per seguirle con gli occhi anche in istrada, e vedere da che parte s’avviavano, non avrebbe potuto fare a meno di chiedere a quella ragazzaccia, il motivo della triste gioia che le balenava nel volto sfacciato e maligno, mentre, facendo le corna alla vecchia e alla Barberina, rideva sgangheratamente.

venerdì 17 aprile 2009

Davano al viso di quella bambina un aspetto fantasticamente diabolico

La Barberina si mise a tavola accanto alla vecchia e, lasciandosi confortare dalle parole insinuanti e autorevoli di essa, tutta consolata da quella ospitalità cordiale, si mise a mangiare con l’appetito della sua età.

La vecchia la guardava con aria di compiacenza.

‒ La mi pare un’altra, adesso, ‒ diceva. ‒ Guardi, che bel colore ha rifatto, che belle guancie rosse, che begli occhietti vivaci!

La bambina che serviva a tavola guardava sempre la Barberina con invidia.

S’avrebbe potuto prenderla per una sua sorella minore, sciancata e invidiosa, che la vedesse pronta e attillata per andare a nozze.

‒ Si ricorderà di me, eh? ‒ continuava a dire la vecchia, mentre inzuppava pane in un bicchiere di vino. ‒ Si ricorderà di una povera vecchia miserabile, che non ha quasi da sfamarsi, eh? Se ne ricorderà con un po’ di riconoscenza, anche quando avrà trovato un buon posto?

‒ Pregherò Iddio ogni giorno per lei, ‒ replicò la Barberina tutta commossa, e pensò vergognosa e confusa che non aveva nulla da darle, neppure quanto bastasse a pagarle la colazione di quella mattina.

La vecchia guardò l’involto che la Barberina aveva messo umilmente in terra, accanto ad una seggiola; lo guardò tanto che la ragazza se ne accorse, ma la donna non disse nulla e non fu che alzandosi da tavola che riprese a parlare:

‒ Finisca pure di far colazione, bambina mia, quello che ho è suo, prenda ciò che le fa bisogno senza complimenti. Io vado intanto, per sapere se la posso presentare oggi stesso in quella casa che le dissi. A quest’ora la signora c’è di certo. Resti qui adesso, e se vuol mettersi su quel canapè e dormire una mezz’ora finché io torni, lo faccia pure, così sarà ristorata del tutto e potremo sbrigare poi le nostre faccende.

La Barberina ringraziò ancora mille volte, e la vecchia se ne andò raccomandandole di mangiare, di dormire e di fare come se fosse a casa sua; poi, chiamata la Giustina, si fece da essa accompagnare sulle scale e là le parlò lungamente a voce bassa.

Intanto la Barberina si alzava da tavola, e con animo commosso e riconoscente si mise a sedere sul canapè, si appoggiò ad un vecchio guanciale di pelle che le parve soffice come fosse di piuma, e, senza volerlo, vinta dalla stanchezza, seguì il consiglio della donna e si addormentò profondamente.

Mentre ella dormiva, la Giustina entrò parecchie volte nella camera, camminando in punta di piedi e guardandola sempre, e mentre la guardava le faceva certe smorfiacce maligne e invereconde, che davano al viso di quella bambina un aspetto fantasticamente diabolico, quasi non fosse una creatura umana e viva, ma un’apparizione stravagante e soprannaturale.

domenica 12 aprile 2009

Le si leggeva nel volto il desiderio del vizio

Barberina seguì timidamente la vecchia, entrando con essa in una camera piuttosto grande, ingombra di roba, nella quale si trovavano accumulati gli oggetti più diversi che si potesse immaginare. Abiti da ballo sciupati e scoloriti, vesti da estate, manicotti e pellicce, servizi da thè e da caffè scompagnati o rotti, bocce e boccettine d’ogni dimensione contenenti liquidi d’ogni colore, che non si sapeva se dovessero servire per la toeletta, per la farmacia o per la tavola; ventagli, nastri, cappelli; insomma era un vero emporio di roba e dei più svariati.

‒ Faccio la rivenditora, ‒ disse la vecchia per spiegare alla Barberina, che se ne mostrava maravigliata, il disordine di quella camera. ‒ Ma sono tempi questi nei quali non si guadagna niente. L’è un affar serio, ragazzina mia, l’esser vecchia come me, non trovar lavoro e non aver nessuno che mi dia un soldo, ‒ e la vecchia intonò una lunga litania di miserie che la Barberina ascoltava con attenzione. ‒ Ma non stia lì in piedi a quel modo, poverina; dev’essere stanca, si metta su questo canapè, ‒ e le fece posto levando un abito rosa cosparso di stelle d’argento e un vecchio scialle tarlato, di lana rossa. ‒ Riposi, carina, riposi. Ora mangeremo un boccone e la si ristorerà. È il pane del povero che divideremo; ma lo mangeremo di buon cuore, bambina mia, e poi... ‒ ammiccò coll’occhio e fece una delle sue brutte risatine maliziose e sfacciate.

Intanto la Giustina stendeva un tovagliolo sopra una parte della tavola, lasciando l’altra ingombra di roba com’era prima, e portava piatti, bicchieri, pane e vino; poi aprì un armadio e ne trasse del salame, dei citrioli, l’oliera e un pezzo di cacio; e mentre faceva tutto questo, sbirciava continuamente la Barberina, guardandola con una cert’aria maligna e invidiosa, come sapesse di tante cose che gli altri non sapevano. Era una brutta bambina; zoppicava un poco, era magra e sparuta come fosse malata, con degli occhiacci arditi, eppure nello stesso tempo stanchi e sofferenti, e certe labbra gonfie e rosse che rivelavano in lei un tipo malsano e scrofoloso.

Della bambina non aveva che la statura e le forme; il viso e il tratto erano di donna. Le si leggeva nel volto il desiderio del vizio, l’abitudine del soffrire, il bisogno fisico e morale di viver male, e nello stesso tempo un’insofferenza, un’ira nascosta per il dolore e le privazioni che portava seco il vivere in tutta quella miseria del corpo e della mente, miseria che l’avvolgeva e la soffocava ancor prima che avesse finito di crescere.

Alla Barberina, che non poteva capire tutto questo, ripugnava il guardare quella bambina, eppure nello stesso tempo ne provava compassione, specialmente pel modo duro col quale la trattava la vecchia. Ma quella donna doveva essere una gran buona donna se l’aveva raccolta senza chieder neppur chi fosse, soltanto perché l’aveva vista piangere e perché le avevano detto che era infelice! Doveva avere un gran buon cuore e doveva pur meritare che le si volesse bene.

giovedì 2 aprile 2009

Lei era proprio una ragazza fortunata

Intanto la Barberina camminava sempre in compagnia della vecchia. Le stava vicina, la guardava, moralmente le s’aggrappava come fosse stata per affogare e avesse finalmente trovato una tavola per salvarsi e stare a galla.

Le vie popolate non le mettevano più paura. La folla le teneva compagnia; era tornata come per incanto ad essere tutta di gente come lei, buona, affabile, sorridente.

La Barberina interrogava sempre la vecchia intorno al suo nuovo servizio, le domandava come era la signora, se la conosceva da un pezzo; domandò se vi erano dei bambini.

La vecchia le diceva che era una buona casa, un servizio come non se ne trovava facilmente uno fra mille, che lei era proprio una ragazza fortunata, e così via, ma non le narrava nessun particolare.

‒ E se non mi volessero? ‒ chiedeva sgomenta la Barberina.

‒ La prenderanno, stia sicura. Raccomandata da me la prenderanno di certo. E poi, non le par di avere un visino che si raccomanda da sé? ‒ La Barberina arrossiva per quel fare un po’ sfacciato della vecchia; ma pensava che le parlasse a quel modo per farle coraggio, e sentiva d’essergliene grata.

Dopo un quarto d’ora di cammino, la donna si fermò dinanzi ad una vecchia casa con una porticina bassa e stretta che metteva ad una scala mezza rovinata, ripida e sudicia. Fece passare avanti la Barberina e salì dietro a lei sino al primo piano. Si fermò sul pianerottolo e mise il capo fuori di una finestra dinanzi alla quale passava una ringhiera che faceva il giro di tutto il cortile della casa. Era un cortile stretto e buio. La casa era altissima, e visto dalle ultime ringhiere quel cortile doveva rassomigliare al fondo di un pozzo. Vasi di fiori, cocci ripieni di terra nella quale crescevano delle pianticelle scolorite e cadenti, cenci d’ogni dimensione e colore empivano tutte quelle ringhiere dalle quali sgocciolava sempre, ora dai cenci lavati, ora dalla terra umida dei fiori, qualche rigagnolo di acqua torbida e sudicia, la quale, cadendo nel cortile, lo manteneva umido e fangoso, quasicché ci piovesse sempre.

La vecchia guardò a destra sulla ringhiera; poi, con voce imperiosa, diversa assai da quella con la quale aveva parlato sinora alla Barberina, chiamò più volte:

‒ Giustina, eh Giustina! Dove sei, fannullona?

Pochi istanti dopo, uno degli usci che mettevano al pianerottolo della scala s’aprì, e una bambinetta di forse tredici o quattordici anni si presentò alla vecchia.

‒ Ero in cucina, ‒ disse con fare d’umiltà bugiarda, ‒ e non ho potuto sentire...

‒ Al solito; è sempre così... ma una volta o l’altra, ‒ la bambina indietreggiò spaventata, e la donna a quell’atto si trattenne e s’accontentò di fulminarla con uno sguardo, dicendo poi: ‒ Lesta, richiudi l’uscio e apparecchia per due.