domenica 12 aprile 2009

Le si leggeva nel volto il desiderio del vizio

Barberina seguì timidamente la vecchia, entrando con essa in una camera piuttosto grande, ingombra di roba, nella quale si trovavano accumulati gli oggetti più diversi che si potesse immaginare. Abiti da ballo sciupati e scoloriti, vesti da estate, manicotti e pellicce, servizi da thè e da caffè scompagnati o rotti, bocce e boccettine d’ogni dimensione contenenti liquidi d’ogni colore, che non si sapeva se dovessero servire per la toeletta, per la farmacia o per la tavola; ventagli, nastri, cappelli; insomma era un vero emporio di roba e dei più svariati.

‒ Faccio la rivenditora, ‒ disse la vecchia per spiegare alla Barberina, che se ne mostrava maravigliata, il disordine di quella camera. ‒ Ma sono tempi questi nei quali non si guadagna niente. L’è un affar serio, ragazzina mia, l’esser vecchia come me, non trovar lavoro e non aver nessuno che mi dia un soldo, ‒ e la vecchia intonò una lunga litania di miserie che la Barberina ascoltava con attenzione. ‒ Ma non stia lì in piedi a quel modo, poverina; dev’essere stanca, si metta su questo canapè, ‒ e le fece posto levando un abito rosa cosparso di stelle d’argento e un vecchio scialle tarlato, di lana rossa. ‒ Riposi, carina, riposi. Ora mangeremo un boccone e la si ristorerà. È il pane del povero che divideremo; ma lo mangeremo di buon cuore, bambina mia, e poi... ‒ ammiccò coll’occhio e fece una delle sue brutte risatine maliziose e sfacciate.

Intanto la Giustina stendeva un tovagliolo sopra una parte della tavola, lasciando l’altra ingombra di roba com’era prima, e portava piatti, bicchieri, pane e vino; poi aprì un armadio e ne trasse del salame, dei citrioli, l’oliera e un pezzo di cacio; e mentre faceva tutto questo, sbirciava continuamente la Barberina, guardandola con una cert’aria maligna e invidiosa, come sapesse di tante cose che gli altri non sapevano. Era una brutta bambina; zoppicava un poco, era magra e sparuta come fosse malata, con degli occhiacci arditi, eppure nello stesso tempo stanchi e sofferenti, e certe labbra gonfie e rosse che rivelavano in lei un tipo malsano e scrofoloso.

Della bambina non aveva che la statura e le forme; il viso e il tratto erano di donna. Le si leggeva nel volto il desiderio del vizio, l’abitudine del soffrire, il bisogno fisico e morale di viver male, e nello stesso tempo un’insofferenza, un’ira nascosta per il dolore e le privazioni che portava seco il vivere in tutta quella miseria del corpo e della mente, miseria che l’avvolgeva e la soffocava ancor prima che avesse finito di crescere.

Alla Barberina, che non poteva capire tutto questo, ripugnava il guardare quella bambina, eppure nello stesso tempo ne provava compassione, specialmente pel modo duro col quale la trattava la vecchia. Ma quella donna doveva essere una gran buona donna se l’aveva raccolta senza chieder neppur chi fosse, soltanto perché l’aveva vista piangere e perché le avevano detto che era infelice! Doveva avere un gran buon cuore e doveva pur meritare che le si volesse bene.

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