martedì 12 maggio 2009

Barberina aveva dei brutti sospetti

Barberina aveva dei brutti sospetti. Era ignorante, ma pur sapeva vagamente di molte cose che il popolo non tiene occulte alle giovanette, o le nasconde così male, che il vero si rivela a loro sempre più o meno esattamente.

E certe cose che la Barberina sapeva a metà, delle quali aveva sentito discorrere o in mercato, o dai bottegai, o nell’ospedale, afferrate così a mezz’aria, a sbalzi, ora dette con parole volgari e oscene, ora sussurrate, fra una mossa di scherno e un sorriso di compiacenza, tutte cose brutte e tristi, le tornavano alla mente, popolando di mille sospetti quella camera, riflettendosi nello specchio accanto a quella signorina della quale non vedeva il viso e non sapeva la storia.

‒ Dio buono, a che cosa penso! ‒ diceva fra sé la ragazza, e la sua ignoranza l’aiutava nel disperdere quei dubbii i quali per effetto di quella stessa ignoranza le si affacciavano indefiniti e imperfetti.

Erano passate alcune ore dacché ella si trovava lì sola ad aspettare che la chiamassero e che le dessero qualcosa da fare, quando udì il suono di una campana e quasi subito dopo delle voci, delle risa, dei passi nell’andito e per le scale.

Parecchie persone camminavano con passo affrettato nell’andito al quale metteva l’uscio della sua camera; passavano correndo, saltellando; e dal fruscìo delle vesti e dalle voci, Barberina indovinò che erano donne. Donne che ruzzavano e saltavano come bambine, ma che ciarlavano e ridevano con delle intonazioni di voce, rauche e stanche, quasi da vecchie.

Chi era tutta quella gente che passava davanti all’uscio della sua camera? Dove andava? Era dunque tanto numerosa la famiglia della padrona?

Mentre la Barberina ascoltava ancora quel chiasso che incominciava già ad allontanarsi, la donna di servizio si affacciò all’uscio.

‒ Eh, eh ragazzina! ‒ disse imperiosamente. ‒ Ha sentito la campana del desinare? Son già tutte a pranzo; si spicci.

‒ Debbo andare a servire a tavola? ‒ chiese la Barberina alzandosi subito da sedere.

‒ Che servire a tavola! ‒ replicò la donna con un’alzata di spalle. ‒ Venga via. Il servizio della tavola lo faccio io.

‒ Lei! ‒ esclamò la ragazza. ‒ Lei... ma i padroni chi...?

‒ Venga via e non faccia tante chiacchiere. Non voglio toccare una gridata dalla padrona, che dirà poi che me ne sto qui a fare dei complotti con lei, in danno della casa. Vedrà da sé, ‒ fece con aria di maligna soddisfazione. ‒ Ora venga.

La Barberina intimidita e incerta la seguì per l’andito.

Era un corridoio lungo e oscuro. Di tempo in tempo un uscio s’apriva nel fondo e con un’ondata di luce ne esciva uno stridulo e confuso bisbiglio di voci che s’univa al rumore dei piatti, dei bicchieri e delle forchette.

Nessun commento:

Posta un commento