domenica 17 maggio 2009

Le donne fra le quali sedeva erano quasi tutte belle

La Barberina, vergognandosi dello stare lì ritta e immobile sull’uscio, vergognandosi pure altrettanto d’andare a mettersi a sedere a quella tavola, non sapeva più che cosa fare; arrossiva, guardava in terra, e di tempo in tempo si volgeva un poco verso l’uscio, e pareva che allora la cogliesse un selvaggio e imperioso desiderio di correr via e di fuggire da quella stanza.

Ma la timidità e la paura della Barberina non fecero che accrescere l’ardire delle altre, e il desiderio che esse provavano di farla sedere alla loro tavola e di farle vincere quella vergogna e quella paura.

Fecero tanto, che la Barberina non s’azzardò più di rifiutare i loro inviti e di mettersi a sedere.

Le offrirono del vino, le offrirono da mangiare, ma la Barberina si sentiva la gola stretta da una paura indefinibile, da un sospetto spaventoso.

Stette lì a sedere in mezzo a loro, senza bere, senza mangiare, senza aprir bocca; appena appena azzardava di muoversi sulla seggiola.

Era rossa rossa, vergognosa, e non sapendo ancora se aveva ragione di vergognarsi; confusa perché sospettava, e più che sgomenta, quando il sospetto cresceva e dominava le speranze della sua ignoranza.

Le donne fra le quali sedeva erano quasi tutte belle.

Alcune giovanissime, non avevano che il pregio della gioventù, altre meno giovani serbavano orgogliose e procaci le traccie di una grande bellezza.

Avevano gli sguardi, le mosse, le parole provocanti e sfacciate, senza che quell’arditezza le facesse anche solo momentaneamente parer franche e sincere. Erano sfacciate senza ritegno, con quella sfrontatezza che cerca di imitare ed esagerare la virtù della sincerità per farne un vizio. Vizio ormai consacrato dal tempo e divenuto pel volgo potenza più grande e lodata che non la sincerità stessa.

Guardando quelle donne, s’avrebbe potuto credere che nel loro passato fosse avvenuto qualche fatto spaventoso, del quale il loro animo serbava tuttora la malefica impronta; s’avrebbe potuto pensare che fossero state tutte colpite in altri tempi da qualche crudele ingiustizia o che qualche oscuro delitto, commesso sotto ai loro occhi, avesse lasciato nella loro memoria un terrore incancellabile, terrore che, trasformandosi a poco a poco, ribellandosi contro se stesso, fosse poi diventato col tempo una viltà sghignazzante, una servile apologia di quella stessa cosa ignota e brutta, che le aveva intristite e contaminate per sempre.

Alcune parevano ancora bambine.

La maschera della sfacciataggine, vecchia come il mondo, usata e logora pei milioni di visi che se la sono sentita viva e mordente sulla pelle, lasciava intravedere ancora qua e là, come raggi di luce perduti nel buio, dei sorrisi ingenui, degli sguardi ancora mestamente dolci: e quegli sguardi e quei sorrisi sembravano un’ultima e tacita invocazione dell’innocenza, che moriva inavvertita e spregiata.

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