giovedì 14 maggio 2009

Tutto quel chiasso e tutte quelle voci

‒ Quanta gente! ‒ disse piano la Barberina, sgomenta per tutto quel chiasso e tutte quelle voci. ‒ Che debbo pranzare con tutta quella gente io? ‒ Ma la porta si riaprì di nuovo in quel momento, e coprì la voce bassa della Barberina, cosicché la donna o non l’intese o poté fingere di non averla intesa.

Quando l’uscio si richiuse di nuovo, la ragazza, più inquieta di prima, sia per alcune parole udite di volo, sia per quello che aveva visto là dentro, si fé più vicina alla donna, le toccò il braccio lievemente con la mano e disse:

‒ Ma son tutte persone di servizio?

‒ Ha gli occhi per vedere e gli orecchi per sentire, faccia ancora quattro passi e lo saprà, ‒ rispose la donna con un’impazienza che rivelava più inquietudine che dispetto. La fantesca camminò rapidamente, quasi volesse sfuggire così alle insistenti e paurose interrogazioni della ragazza; aprì presto presto l’uscio di fondo, dinanzi al quale erano giunte finalmente, e spingendo avanti la Barberina disse:

‒ Entri, lesta. Il suo posto è là, accanto a quella bionda con la rosa in capo, ‒ e detto questo le voltò le spalle, richiuse l’uscio e tornò subito via.

La Barberina guardava trasognata la camera nella quale era entrata, la tavola apparecchiata e le donne che sedevano a pranzo.

Tutte si voltarono e la guardarono.

Vi fu un momento di silenzio. L’atteggiamento modesto e vergognoso della giovanetta, contrastava singolarmente con quello delle altre.

‒ Una nuova! ‒ disse forte una di loro.

‒ Venga, venga, ‒ fecero tutte in coro, vedendo come la fanciulla, confusa e sgomenta, se ne stava ritta e immobile a guardarle senza ardire di muovere un passo. ‒ Venga... qui vicino a me, ‒ gridava una. ‒ No, accanto a me. ‒ Qui, ‒ urlava un’altra.

Era una cordialità selvaggia; una cordialità mista ad un desiderio maligno di far fare ad un’altra ciò che facevano loro, di metterla al medesimo livello. Quell’istinto d’assorbire, d’assimilarsi e d’affratellarsi che nasce sempre negli animi traviati, nei colpevoli e nei tristi. Il bisogno di crescere di numero e di formare una maggioranza; di sostituire alla qualità la quantità.

Istinto d’assorbimento morale, istinto potente, che possediamo tutti; legge d’attrazione intorno alla quale gravita tutto il mondo intellettuale, che ora chiamasi proselitismo, ora fanatismo, ora corruzione, e ora, quando sia forte e s’incarni gagliardamente in uno solo, chiamasi anche despotismo.

Difesa dei buoni e difesa dei tristi. Possente talvolta in uno solo, quanto in centomila; instabile come le vicende e la vita umana, ma vigoroso e inflessibile come un fatto naturale che ancora s’affanna e lotta per entrare nell’eterna armonia; che assorbe e divora, sperando di essere assorbito, e crea il disordine per un insciente, oscuro e istintivo bisogno dell’ordine.

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