lunedì 11 maggio 2009

Una ragazza per bene!

‒ Sì... grazie... ‒ rispose un po’ confusa la Barberina, perché, a dire il vero... non vorrei per tutto al mondo escire di casa vestita così.

‒ Perché? ‒ domandò maravigliata la donna, fermandosi sull’uscio.

‒ Avrei troppa paura d’esser presa per una... via... m’intende... una ragazza poco per bene.

La donna la fissò un momento con certi occhi furbi e curiosi, nei quali si leggeva una grande maraviglia e uno scherno grossolano e volgare, come di chi ride di un’oscenità o di un dolore.

‒ Una ragazza per bene! ‒ esclamò con una smorfia da monello, che contrasse il suo viso di cinquant’anni in un modo veramente buffo. ‒ Per bene! ‒ ripeté, e dette in uno scoppio di risa chiudendo l’uscio dietro a sé.

Barberina la sentì ridere ancora nell’andito, finché a poco a poco quella sghignazzata o finì o si perdette nella lontananza.

Ma perché rideva quella donna? Di che cosa?

Barberina si rimise a sedere sopra una seggiola; si sentiva debole e stanca. La malattia patita e della quale non era ancora interamente ristabilita, le commozioni di quella mattina, lo spavento e il dolore, l’avevano scossa assai più di quanto ella potesse rendersi conto in quel momento.

Stette un pezzo a sedere guardando sempre la sua camera; ne osservava tutti i particolari con una curiosità inquieta; senza saperne il perché, le dispiaceva che quella camera fosse così bella; non ci si sentiva tranquilla, non le pareva potesse mai essere veramente la sua. Alzando gli occhi per guardare gli affreschi del soffitto, e volgendosi un poco verso la finestra, s’accorse che la sua immagine si rifletteva anche di lì nella spera.

Quella ragazza seduta nel mezzo della camera con quell’abito chiaro addosso le fece quasi paura.

Le s’affacciarono a un tratto alla mente mille incertezze e mille paure. La fanciulla ben vestita che vedeva nello specchio, raccontava alla povera Barberina delle tristi istorie, piene di dubbi e di sgomenti. Istorie vaghe, indefinite.

Alla Barberina, dal luogo nel quale sedeva, non riesciva di vedere di sé nello specchio se non altro che la persona. Le sue mani, sbiancate dalla malattia, poggiavano sul bel vestito e le sembravano quelle di un’altra, di una vera signorina; e nel fondo, dietro quel riflesso, il letto parato e una poltrona imbottita e coperta di stoffa rossa accrescevano l’illusione che provava dell’essere sotto il fascino di un sogno e di non vedere in quella spera l’immagine di se stessa.

Ma di tempo in tempo la ragazza chinava un poco il capo, e allora rientrando tutta nel campo dello specchio, ci vedeva il proprio viso e si guardava attonita e impaurita. Allora la signorina e la giovanetta tornavano ad essere una cosa sola, e la Barberina provava uno spavento indefinibile di quelle due che erano pure una sola, e lo dovevano essere, eppure erano tanto dissimili fra loro. E per acquietarsi Barberina rialzava il capo, e così uscendo di nuovo dal campo dello specchio non ci vedeva più il proprio viso.

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