sabato 21 febbraio 2009

L’opera di beneficenza

Le ragioni sono varie e complicate, e se mi permetto di esporne qui brevemente alcune, quelle che a me sembrano le principali, spero che il lettore me lo perdonerà, vedendo quanto questo argomento dell’utilità e popolarità degli Istituti di beneficenza tocchi da vicino il soggetto del nostro racconto.

La maggiore popolarità della quale gode l’ospedale di fronte agli altri Istituti, si può in parte spiegare facilmente per la maggior necessità che hanno di esso le classi povere. Vi sono peraltro Istituti la cui necessità è pure grandissima, che sono creati al fine di rimediare a sofferenze che in alcune città o provincie si presentano più frequenti, senza che per questo riesca loro di escire da una certa penombra inerte e misteriosa, che li fa rassomigliare per molti a delle astrazioni, e per altri più timidi, a delle individualità elette, aristocraticamente severe, non avvicinabili dal volgo. Ma perché il povero, obbietteranno molti, non cerca da sé di conoscere meglio questi Istituti creati unicamente per soccorrerlo, invece di lasciarsi andare a prestar fede ai pregiudizi che glieli fanno disconoscere? Non è questa per parte del povero un’ignoranza colpevole che rassomiglia quasi all’indifferenza? Perché il povero, risponderemo, non soltanto è timido verso persone o cose che non vede e non conosce, e con le quali non può trattare direttamente, ma è anche difficilmente in grado di poter superare, senza gravi difficoltà, certe distanze morali, e di vincere certi pregiudizi che governano dispoticamente l’animo delle classi meno colte della società.

L’ingegno nostro non può fare lo sforzo di superare ignote e astratte distanze morali, né far subentrare il calcolo chiaro della ragione alle facili e indefinite leggi del pregiudizio, quando non vi è stato educato dall’abitudine. Tanto più il corpo sarà avvezzo e indurito alla fatica fisica, tanto più avrà contratto l’abito di non vedere nello sforzo, sia della volontà, sia dei muscoli, che il mezzo di vincere una difficoltà materiale ed evidente, quasicché non vi fosse possibilità di vincere senonché ciò che è evidente e materiale, e per questa convinzione tanto più difficile gli apparirà ogni altro sforzo, il quale sia invece diretto a superare una difficoltà astratta che sfugge al dominio dei sensi e dell’energia fisica.

In coloro, che sono cresciuti così nell’inazione dello spirito e nella fatica dei muscoli, l’intelligenza non sa più lavorare senza l’evidenza della meta reale e l’eccitamento dell’azione del corpo. Mancando ad essi coll’istruzione, i principali istrumenti per il lavoro del pensiero, hanno bisogno degl’istrumenti del lavoro materiale per compiere un disegno qualsiasi. Vincere un pregiudizio, superare una distanza morale, penetrare con l’indagine e il ragionamento laddove non penetrano col fatto, sono opere morali dinnanzi alle quali i più fra loro sono impotenti.

Dovrebbe dunque l’opera di beneficenza essere istituita in modo che essa per sua natura e organizzazione fosse già tanto vicina al povero che vuol soccorrere, da non dover egli superare distanza alcuna per arrivarvi.

Questo difetto, assai meno grave nel passato, e ne spiegheremo subito la cagione, va crescendo nel presente, e la distanza che già tante volte separò il bisognoso dai soccorsi della beneficenza va diventando ogni giorno più grande.

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