sabato 28 febbraio 2009

Il vero genio melefico del nostro tempo

Così non rimane al povero che l’ospedale; ma quell’ospedale soltanto che accoglie tutti indistintamente, che ha direttori e amministratori laici, nel quale i medici governano liberamente; che è in tutto e per tutto un’istituzione civile. Là soltanto il povero si sente a casa sua, ci va senza esitazioni, c’entra senza difficoltà, sa che c’è, dov’è, come fosse a due passi da casa sua; ne parla, lo teme, ma nello stesso tempo lo riguarda come un asilo sicuro per le ore di sofferenza. Questa popolarità, l’ospedale la trae in gran parte, come abbiamo già detto, dalla continua necessità che n’ha il povero, dal gran concorso di gente che ci va, ma anche dal sentimento di sicurezza e di riposo che prova ognuno sapendo d’essere in un luogo che accoglie indistintamente tutti coloro che soffrono, che non fa distinzioni religiose, che non esige certificati o raccomandazioni, che non è diretto da una casta, da un ordine speciale di persone, da frati piuttostoché da preti, ma che è veramente istituzione civile, cosa che emana direttamente dalla vita della città e del Comune.

Così, fintanto che la carità non sia diventata compiutamente una virtù civile e non sia riassorbita del tutto dalla società colta e liberale che cammina sulla via del progresso, fintanto che essa non sarà il dovere d’ogni cittadino come lo era prima di ogni credente, fintanto che non sarà distrutta in noi l’abitudine del riguardare la carità come un monopolio religioso, un’incombenza speciale di alcuni, e che il dovere di praticarla non riposi ugualmente sopra di tutti, individualmente non meno che collettivamente, sino allora non potranno mai cessare gli abusi, le indifferenze crudeli, le mostruose negligenze che si avverano ogni giorno sotto ai nostri occhi.

E chi di quegli abusi o dolori ha soltanto compassione senza adoperarsi per aiutare laddove havvi bisogno di soccorso, è forse ancora più colpevole degl’indifferenti stessi, perché egli ha provato l’eccitamento a compiere un dovere e non l’ha compiuto; e se v’ha grand’errore commesso contro la società intera, non è quello del fare il male, ma dell’omettere scientemente di fare il bene; è la mancanza d’energia; la fiacchezza nell’operare. Da ogni cosa che lavora attivamente nasce qualche nuova forma di vita; dal male può nascere lo spirito di ribellione, può venire il bene; è dall’inerzia soltanto che non verrà mai nulla di buono; e la mancanza d’energia è forse nel mondo la sola cosa che può meritarsi veramente il nome di male, ed è il vero genio melefico del nostro tempo.

Ogni epoca storica ebbe il proprio diavolo, e lo spirito del male delle nazioni invecchia con esse, ma dura sempre; vispo e giovane, nel medioevo violava la legge religiosa, anziché combattere la religione; vecchio e reazionario, combatté più tardi le aspirazioni della società civile; fatto peggiore col tempo, il diavolo nostro ci insegna ad essere fiacchi e indifferenti; è un cinico sonnolento che fugge dinanzi alle determinazioni energiche, come il diavolo lieto e birichino del cinquecento fuggiva dinanzi all’acqua benedetta.

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