lunedì 23 febbraio 2009

Quanta scienza dovrà rimpiazzare la fede!

Nel passato, su quella via dell’asilo o del ricovero il bisognoso trovava sempre una guida e un aiuto; alla sua ignoranza soccorreva un consiglio che gli appariva come un’emanazione dello spirito stesso che aveva creato le istituzioni di beneficenza.

Quella guida, quel consiglio, era la carità religiosa.

Il prete e il credente, caritatevoli il più delle volte per interesse e ipocrisia, erano però talvolta ammirabili e grandi di abnegazione e di sacrificio, e buoni e cattivi la carità l’insegnavano tutti; e l’insegnamento era buono, fosse bugiarda o sincera la bocca che lo impartiva.

Ma l’intenso e fervido sentimento religioso che alimentava quella carità s’esaurisce ogni giorno; la fede muore nelle classi colte, si raffredda e s’estingue nel popolo, e la carità religiosa, colpita con le credenze, infiacchisce anch’essa senza che una nuova forma di beneficenza venga abbastanza a sostituirla col nome di carità civile. Eppure se v’ha cosa che dovrebbe farci sopportare perfino una religione non buona, sarebbe la carità; se v’ha virtù senza la quale ogni società, e fosse la più colta, non merita più il nome di civile, quella virtù è la carità. Ma anche in questa lotta della ragione contro l’assurdo è potente sempre la cieca stupidità che colpisce le cose buone con le cattive e che non sa ricostituire sotto altra forma quello che perde nella lotta.

Così, a misura che cresce quell’antagonismo, a misura che il prestigio religioso declina, e che la spensierata indifferenza del ricco, che ricrea l’intelligenza in codeste lotte, impoverisce sempre più il bisognoso senza compensarlo in verun modo di quello che gli toglie, così si fa sempre più il vuoto intorno al povero, il soccorso s’allontana sempre più da lui, il mondo ideale che lo confortava, dilegua senza che nella realtà gli venga sostituito il benefizio di una solida istruzione; e se nelle ore di tribolazione cercherà un soccorso sulla stessa via, ove i suoi avi incontravano il prete e si prostravano con esso dinanzi agli altari, dubitiamo assai che incontrandovi invece un libero pensatore e vedendo su quegli stessi altari rovesciati, la dea Ragione o l’immagine dell’uomo scimmia, ne tragga le consolazioni che s’ebbero i suoi padri.

E a questa miseria morale e materiale, che accresce di tanto la miseria già esistente nel mondo, non si riparerà così presto. Stolto e puerile è lo spirito che spinge i più alla demolizione, e gli animi loro sono quasi sempre incapaci di misurare la grandezza e l’efficacia della cosa che demoliscono.

L’intelletto grossolano dei demolitori non capisce quanta grandezza di vita civile, quanta fede gagliarda nell’opere buone, quanta intensità di lavoro e di forze ci vorrà per ricostituire nel mondo cosa che valga e superi le religioni perdute. Quanta scienza dovrà rimpiazzare la fede, e quanto ordine e armonia nella vita sociale dovrà emanare dalla nuova forma di carità che non sarà più religiosa ma civile! Per ora, alla demolizione non tien dietro riedificazione alcuna, e quanto crolla da una parte, non si riedifica dall’altra, per buona che fosse la cosa caduta.

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