giovedì 3 settembre 2009

La poveretta non sperava più che in un miracolo

E se il concetto della divinità nasce in noi dal contrasto di una grande e desiderata virtù ideale che si contrapponga ai vizi e alle trivialità del mondo, e se, trovato quell’alto concetto che contrasta compiutamente col puerile cinismo umano, l’adoriamo e lo prendiamo ad esempio, così poteva ben anche la povera Barberina ricordare con fervore quella realtà che ormai nel suo pensiero era tanto lontana che assumeva una forma ideale, e invocarla come cosa potente ed efficace. E il contrasto qui non mancava. E i ricordi delle grandiose scene di natura, e il sentimento infantile che ci si era educato e compenetrato tutto, contrastavano con la ributtante realtà presente, quanto contrasta l’immagine della vita umana con quella altissima e ideale dell’aspirazione filosofica o religiosa.

Barberina si aggrappava a quei ricordi del passato con un ardore disperato. Ci trovava la forza di resistere, l’energia della lotta. Essa non rammentava savie parole di consiglio, lezioni di morale severe e ponderate. No, non una parola scritta, non una parola detta le tornava alla mente in quest’ora di tribolazione, non ne sapeva, e forse, se ne avesse sapute, non le avrebbero bastato; no, ricordava un altro insegnamento più alto e più intenso, un insegnamento che aveva ricevuto in ogni istante della sua esistenza; ricordava una maestra severa e forte, che era stata sempre con lei e in lei, e quella maestra era la natura. Ricordava una famiglia, che incominciando dalla madre sua, si estendeva numerosa, feconda, infinita, intorno a lei; fin dove s’estendeva la vita del mondo da lei conosciuto, e quel ricordo la sorreggeva. La dolce memoria di essa la confortava e ammoniva; entrava tacita tacita, dalle gelosie socchiuse di quella camera infame, e si stendeva pura e incorruttibile col raggio di sole ai piedi di quel letto di postribolo, e scintillava nel cristallo dello specchio ove la sozza gioia di quella stanza s’era specchiata tante volte. Alta e pura la luce del sole brillava su quella casa, turpe invenzione di civiltà.

E quando Barberina vedeva quel po’ di sole, o spiava le stelle traverso le sbarre di legno delle gelosie, le pareva di vedere un viso d’amico e la confortava il pensare che la grande bellezza di natura era sempre forte e potente fuori di lì. Si figurava forse che la profonda vergogna che provava lei di tanta sciagura, l’avrebbe provata qualche altro; che la natura così bella avrebbe ispirato a tutti, a un tratto, come per miracolo, l’orrore, il ribrezzo che sentiva lei; che come lei avrebbero sentito, anche gli altri che erano in quella casa e fuori di essa, un che di terso, di puro, di incontaminato in se stessi, che si ribellava improvvisamente con selvaggia energia ad ogni turpitudine.

La poveretta non sperava più che in un miracolo.

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