lunedì 14 settembre 2009

Levate, levate quel cartello

Finalmente capì. Allora cacciò un grido di spavento e di sdegno, e fece uno sforzo per uscire dal letto, ma non poté, e ricadde sui guanciali.

Un’infermiera accorse subito presso al suo letto. La malata, sopraffatta da quello che aveva provato, era quasi svenuta. L’infermiera s’affaticava invano per farla rinvenire, quando la suora, che aveva udito anch’essa quell’urlo, la raggiunse. Domandò che cosa era stato, ma né le malate più vicine, né l’infermiera stessa sapevano che cosa fosse seguito alla ragazza.

La suora rimandò l’infermiera e rimase sola ad assistere la malata. A poco a poco le riuscì di farla rinvenire; ma appena la giovanetta ebbe aperti gli occhi, balzò di nuovo a sedere sul letto, alzò le braccia, le stese verso il cartello, gridando:

Non è vero, non lo sono! Non è possibile, sono una ragazza onesta. Levate, levate quel cartello, levatelo subito!

La suora dubitava che alla poveretta fosse tornato di nuovo il delirio. Cercò di farla star quieta, la pregò di star zitta, di non disturbare le altre malate con le sue grida, ma nulla valse. La povera fanciulla non era in grado di domare il suo sdegno, il suo ribrezzo per la parola che stava scritta sopra al suo letto. Tutto l’animo suo si ribellava, tutta la sua fiera innocenza si risvegliava per imprecare indignata contro chi le aveva dato quel nome.

Aver tanto sofferto per poi svegliarsi qui, sotto a quella parola!

Una prostituta io? Io con quel nome, io? Ma non è vero, non è possibile, oh dica lei che non è vero, che non lo merito, lo dica! ‒ E si rivolgeva alla suora che l’ascoltava compresa di pietà e di stupore senza sapere che cosa rispondere.

Lei non sa che mi hanno presa a forza, non sa, ‒ e alla poverina non bastava neppur l’animo di ricordare l’orrore di quella scena; e lo spavento le si dipingeva negli occhi sbarrati, e la vergogna sulle guancie, che si facevano ora rosse rosse, ora pallide come se fosse per morire. Invano la suora cercava di tranquillarla.

Non lo potrò mai dire a nessuno tutto quello che è stato e quanto ho sofferto. Dio buono, ero dunque abbandonata anche da te in quell’ora? e quando mettevano qui al mio letto quello scritto infame non c’era chi parlasse per me? ‒ E la giovanetta giungeva le mani e pregava; pregava la suora, pregava Iddio e faceva sforzi inutili per rialzarsi sul letto e strappare quel cartello.

La monaca era profondamente commossa. Aveva ormai ben capito che quella poveretta non vaneggiava più, e che un crudele misfatto era stato commesso sopra un’innocente.

La confortò alla meglio, la pregò di star quieta, d’aversi cura, disse che avrebbe parlato di lei alla superiora e che forse quando stava meglio avrebbero potuto soccorrerla.

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