giovedì 17 settembre 2009

Le economie della prostituta!

L’economia poi, che è il primo passo che fanno queste infelici per arrivare alla liberazione, e che il nostro regolamento di pubblica sicurezza ricompensa nei suoi primordi con dei libretti della cassa di risparmio, questa ragazza non l’aveva saputa fare; quell’economia, che non fa chi non supera le altre nella dissolutezza e nell’abiezione più compiuta, e che il nostro regolamento favorisce e appoggia.

Dov’erano nel caso presente le economie della prostituta, e con esse le prove del suo ravvedimento?

Le economie della prostituta!

Ci hai pensato mai, lettore? Te la figuri la fanciulla, forse appena ventenne, calcolando i suoi tristi guadagni? te la figuri fredda e sobria in tutto, e poi per lucro dandosi al lusso sfrenato nel vizio? Trasformando l’abiezione in denaro? E accanto a questa fanciulla ingegnosa e furba non vedi il rappresentante della legge che le offre il premio delle sue fatiche, delle sue economie, che la rimunera con orgoglio e sapienza civile?

Non ci hai pensato mai?

Eppure ogni giorno esse ci passano d’accanto, ora liete e belle, ora sparute e meste. E presso alle economiche e benemerite non si vedono le altre travolte dal turbine del debito che cresce per ogni pudore, per ogni ritrosia, o per ogni sete di oblìo cercato nel chiasso dell’orgia. Non si vedono quelle che hanno un figlio, una madre, un vincolo qualunque spezzato bensì, col resto del mondo, ma che in esse è pur sempre vivo e duole come il braccio di un amputato.

L’economia loro che cos’è? Il vero titolo a un compenso, la prova del ravvedimento non è invece talvolta per esse il debito? Quel debito che alla grande catena di schiavitù dell’iscrizione che le vende alla società, aggiunge quell’altra più stretta e più dura che le vende ad un padrone solo, cupido e avaro.

Quel debito la Barberina l’aveva, e a quel debito non s’aggiungeva il fatto dell’essersi presentata spontaneamente? Perché credere di più a quello che diceva una bambina sedicenne che ad una mezzana esperta e provetta, e alla padrona d’una casa accreditata come quella cui aveva appartenuto la Barberina? E non era forse entrata nell’ospedale affetta, oltre la malattia cerebrale, di un male che provava la sua colpa? Che cos’era il nome di una ragazza di più fra tante e tante iscritte nel registro della Questura? Che cosa importava se là c’era andata più o meno volentieri, ora che la cosa era fatta e che non si poteva rimediare? Una ragazza che usciva da un luogo come quello, Dio buono, che cosa voleva fare fra le altre? Alla sezione di polizia ne avrebbero sorriso di certo, se la gran farragine di donne e il gran da fare per esse, non avesse impedito agli impiegati di occuparsi lungamente di un caso in particolare.

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