domenica 20 settembre 2009

Quella ragazza era iscritta

E di queste storie se ne udivano ogni giorno in quell’ufficio, e gl’impiegati, vedendo come quei preti e quelle monache s’erano preso a cuore l’affare della Barberina, trovavano che essi avevano pure un gran buon tempo. Perché quei signori, come molta gente ignorante e volgare tra noi, erano liberi pensatori. Liberi pensatori in quel triste modo di esserlo, che esenta chi ne professa le opinioni, non soltanto da ogni credenza religiosa, ma anche da tutti quei sentimenti di carità e di dovere che essendo finora scaturiti specialmente dal sentimento religioso, vanno ora confusi dal volgo con esso, e con esso dimenticati o negletti.

E per questo le raccomandazioni dei preti per salvare la povera Barberina, e le premure fatte da essi, anziché giovarle, forse le nocquero; e così sciocco è sempre il pregiudizio, sia per la religione o contro di essa, che il vedere un prete o una monaca interessarsi ai casi di una disgraziata, faceva nascere il desiderio di mandare a vuoto l’opera loro, perché in qualche cosa e in qualche modo non riuscissero; quasicché al disopra di una lotta di credenze o di idee, e sia pure di logica contro l’assurdo, non debba sempre prevalere alto e gagliardo quel sentimento ancor bambino per molti, che è la carità civile.

E i preti e le monache non riescirono. Fu un trionfo di risatine stupide d’impiegatucci triviali e ignoranti, e di donne da postribolo. E così, mentre nessuno in questa cosa, fuorché i preti e le monache, s’interessava a quella disgraziata, mentre nessuna legge tutelava l’interesse dell’innocenza e della libertà individuale, trionfavano i difensori del potere civile contro gli sforzi inutili del partito avverso.

Barberina era dunque condannata a restare ciò che l’avevano fatta a sua insaputa; condannata irrevocabilmente a tornare in quella casa, a subire la volontà della megera padrona di essa.

Avevano un bel dire, il molto reverendo sacerdote che la raccomandava e le signore monache che non si vergognavano di proteggere le donne che appartenevano alla Questura; quella ragazza era iscritta, era caduta ormai nell’abisso, e ci doveva stare. Che cos’era di più di tante altre? Doveva forse godere privilegi perché la raccomandavano i frati?

Non c’era più scampo.

La giovanetta migliorava, e alle sue domande insistenti non ci fu verso di non rispondere il vero.

Quando glielo dissero, credettero fosse per impazzire.

Fu una scena straziante di disperazione.

A momenti non ci voleva credere assolutamente; le pareva impossibile che senza meritarselo in alcun modo, dopo tanti sforzi per fuggire quella sorte abbietta, ce la spingessero suo malgrado con la violenza, con la legge.

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