martedì 1 settembre 2009

Ore di veglie angosciose

Passarono dei giorni, e peggio ancora che i giorni passarono le notti.

Ore di veglie angosciose, di supplicazioni inutili, nelle quali la febbre che tornava a scuotere le membra della povera convalescente, s’univa alla febbre morale di paure e terrori indescrivibili.

Era una lotta disperata.

Barberina si trascinava per terra ai piedi dell’orribile megera che era la padrona di quel luogo, l’implorava, la supplicava. Pianse davanti a lei le più sante lagrime della sua innocenza, pregò col fervore della disperazione.

Davanti a quella resistenza angosciosa, la triste donna non osava ritentare una prova simile a quella della prima sera. Temeva che la compassione potesse indurre qualche persona a fare più di quanto avesse fatto quel signore provinciale, le cui severe parole di ammonizione le tornavano alla mente, non per convincerla del delitto che commetteva, ma per consigliarla d’essere prudente. Essa sperava che la paura, anzi il terrore domerebbero a poco a poco la fiera resistenza della giovanetta; sperava che l’esempio delle altre, l’atmosfera corrotta di quel luogo, corromperebbero presto anche lei, e che vedendo ogni resistenza inutile, ogni altra speranza nell’esistenza chiusa e finita per sempre, si piegherebbe finalmente alla sua volontà e accetterebbe volentieri la sorte inevitabile che le era stata imposta.

Ma quella donnaccia s’ingannava.

Il corpo della povera Barberina si estenuava fra le paure e i terrori di quella vita travagliata, di quei giorni e di quelle notti passati spiando angosciosamente ogni passo, ogni suono di voce che s’avvicinava alla sua camera, raccogliendo con orrore le parole oscene, le risate laide delle altre donne, sentendo raccontare con un disgusto, che cresceva ogni giorno, i turpi aneddoti del luogo, rifuggendo con orrore dal pensiero dalle bassezze che per vile interesse commettevano quelle disgraziate, narrandole poi con l’orgoglio del più triste cinismo. Essa resisteva sempre.

Era un disgusto intraducibile, un ribellarsi continuo, incessante, una nausea morale che sollevava ogni sua fibra e ogni suo pensiero.

Che ore passava nella penombra di quella camera rossa, senza ardire di prender sonno, senza avere il coraggio di riposare, sempre desta, sempre attenta!

Quante preghiere innalzava alla santa della cappella, dinanzi alla quale le sembrava di veder costantemente ardere il lumicino acceso da sua madre; che disperate invocazioni, alla pace pura e solenne dei suoi monti, all’amore di Luca, quasi quella pace e quell’amore fossero divinità e la potessero ascoltare ed esaudire.

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