giovedì 1 gennaio 2009

Barberina aveva sedici anni

Barberina aveva sedici anni quando venne in X, una delle principali città d’Italia, per entrar al servizio di una famiglia d’agiati commercianti.

Era fresca e robusta, timida come una signorina appena uscita di convento, ignorante come le pecore e le capre che aveva portato a pascere per tanti anni nei monti ove era nata.

Essa esciva dalle valli solitarie delle sue montagne, come l’educanda esce dalle mura del chiostro: ingenua, vergognosa, maravigliandosi di tutto e di tutti. Anch’essa, come l’educanda, era stata rinchiusa in un breve spazio di terra segregato dal resto del mondo; anch’essa era stata abituata ai lunghi silenzi, alle placide e dolci contemplazioni, e alla monotona disciplina del lavoro.

Barberina di casa sua era poverissima.

Essa lo sapeva da un pezzo, perché glielo dicevano i genitori, non perché se ne fosse accorta da sè: aveva già sedici anni e ancora non capiva bene che cosa volesse dire la povertà. Mentre era ancora a casa sua, indovinava che la miseria era cosa che non soltanto la minacciava allora, per la quale pativano e si tormentavano i genitori, ma che era una disgrazia che l’avrebbe sicuramente perseguitata nell’avvenire, ed alla quale non poteva sfuggire in nessun modo.

Essa non aveva mai patito per il freddo dell’inverno o per il sole cocente dell’estate; la polenta dura e stantia che le davano i genitori aveva sempre bastato al suo gagliardo appetito, e al suo gusto era parsa ognora squisita; il vecchio giaciglio di paglia bastava ai suoi sonni placidi e profondi, e non aveva ancora provato il desiderio di cose migliori. Con la forza viva della giovinezza essa attingeva vigore e salute in tutto ciò che era intorno a lei. Attingeva nell’aria vibrata del monte, nel calore del sole, un piacere di vivere che era fecondo di vita.

Cresceva come un fiore esposto alla brezza pura e fragrante della montagna. E in quel lusso di natura l’essere povera le sembrava cosa assurda, e non l’intendeva più di quello che l’intendessero i fiori e le pecore della sua mandria.

Il suo sviluppo intellettuale fu lento.

Non era provocato artificialmente, ma nasceva spontaneamente in lei per combinarsi poi con quello che era fuori di lei.

I suoi pensieri si risvegliavano lenti e maravigliati nelle lunghe ore di ozio, mentre pasceva le pecore e sedeva canterellando sul pendìo del monte. Quasi sempre nascevano sotto l’evocazione di certe melodie strascicanti e monotone che la bambina inventava da sè, seguendo con gli occhi le nuvole che le passavano sopra il capo o guardando i vapori che luminosi e lenti ascendevano verso sera sull’orizzonte.

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