lunedì 19 gennaio 2009

E di questi strani sogni aveva paura

Tutta la sua esistenza seguiva così oscuramente il suo corso dalla cucina alle botteghe, dal pianerottolo ove ciarlavano le serve alla strada ove correva timida e affaccendata per far la spesa o accompagnare i bambini. Le pareva d’essere in un fondo di pozzo torbido, ma tranquillo, ove tutti lavoravano senza speranza, senza distrazione, intorpiditi leggermente dalla mancanza di sole e di ventilazione. E in quel luogo triste e profondo s’agitava una gran massa di gente che si odiava, che si derideva, che soffriva o scherzava, che si pigiava oscenamente col pensiero e col fatto. Quello che faceva più soffrire la Barberina era la mancanza di quell’aria sana e pura che l’aveva fatta tanto ricca di salute e di forza ne’ suoi monti; e soffriva inoltre di dover vivere fra tanta gente, di abitare con essa quelle case alte e oscure, che si facevan ombra tra loro, consumandosi a vicenda la luce e l’aria. E le pareva che tutta quella gente dovesse consumare incessantemente anche qualcosa di più che luce e aria, qualcos’altro d’ignoto, quasi vi fosse un intenso dolore che facesse vivere la grande città, e che essa richiedesse una depredazione morale ignota, mostruosa come un delitto, dolorosa come un sacrifizio. Parevale che ci volesse di più che del denaro per far correre quelle eleganti vetture, per vestire così bene quelle belle signore e quei signori, per innalzare tutti quei monumenti che vedeva per le strade e per creare tutti quei teatri de’ quali sentiva vantare maraviglie; le pareva che ci volesse qualcos’altro ancora per raggiungere gli scopi della civiltà; che ci volesse uno sforzo intenso e misterioso, che facesse fruttare le fibre e i muscoli e li traducesse in lusso e in piaceri. E di questi strani sogni della sua immaginazione aveva paura come di cosa vera.

Chi aveva incominciato a pensare pel primo a tutto questo? A inventare il lusso, i divertimenti, tutte quelle centinaia di cose che vedeva senza intendere, complicati istrumenti di civiltà che la sgomentavano, come fossero strumenti di tortura? C’era dunque della gente felice anche qui? felice come lo era stata lei una volta, quando lo era tanto, che non aveva neppure coscienza di esserlo? Ma questi felici lo erano diversamente, poiché si creavano la propria felicità, se la facevano coi teatri, colle mode, coi libri, mentre lei l’aveva trovata bell’e fatta.

I libri? Che cosa ci poteva essere nei libri? pensava talvolta la Barberina. Delle parole? Proprio delle parole come quelle che diceva lei?

Alla Barberina veniva allora voglia di ridere. Che nei libri ci fossero delle chiacchiere simili a quelle dei bambini o dei bottegai che conosceva? Ma a che serviva il fermare così le parole, invece di lasciarle andare per la loro strada e morire come la gente e tutte le cose di questo mondo? Parlavano forse soltanto di fatti strani, come ne vedeva molti senza intenderli; o erano forse pieni di parole, come certe vetrine erano piene di oggetti rari, de’ quali non sapeva a che cosa potessero servire?

Quanta confusione di cose crea la gran quantità di gente che vive assieme pigiata nello stesso luogo! E quella confusione la sgomentava come cosa che deve traboccare e invadere, e allora pensava con stanchezza e desiderio ai lunghi silenzi della sua valle, e alla lontana e dolce canzone di Luca.

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