domenica 18 gennaio 2009

Barberina s’era sentita sola per la prima volta

E intanto Barberina si faceva sempre più donna e lasciava ogni giorno dietro di sé un lembo di quella veste morale che aveva avvolta e protetta la bambina.

Era una natura delicata, ma fiera ed energica. Aveva quella purezza d’animo e quella dignità tenace di chi ha potuto crescere senza sentir l’attrito della società, di chi senza saperlo ha vissuto sotto una protezione efficace, con la benefica illusione di una libertà assoluta.

Non aveva visto né il male, né il bene; aveva sentito la buona influenza della solitudine, ignorando l’isolamento; aveva provato sì vivo il sentimento della natura, che nelle ore di maggior solitudine, lontana da tutti, non s’era mai sentita sola; perché è nella folla soltanto che nasce il sentimento dell’abbandono assoluto e dell’isolamento, e non v’ha landa sterminata o mare senza fine che ci renda l’animo sgomento e deserto quanto il sentirci circondati e stretti dal tumultuoso accavallarsi della marea sempre crescente dell’egoismo umano. E l’egoismo isolato non prospera facilmente; esso ha bisogno di specchiarsi nell’egoismo di un altro, o di alimentarsi nell’altrui sentimento servile e prepotente per farsi forte; e predilige vivere nelle grandi masse di vita umana parassita sordido e vigoroso, ma pur talvolta così ricco di vita e di forze che vi appare in alcuni grande e maraviglioso come una virtù.

Barberina s’era sentita sola per la prima volta nel viaggio da N, dove pure s’era trovata in mezzo a tanta gente; e d’allora in poi un senso vago di abbandono, d’isolamento le era sempre rimasto; lo provava anche nelle ore meno tristi.

Si sentiva sola quando un mascalzone qualunque, passandole accanto per la strada, le sussurrava all’orecchio parole triviali che incominciava appena ad intendere; si sentiva sola quando dai bottegai o dalle serve del vicinato, udiva fare certi discorsi equivoci, udiva raccontare fatti e aneddoti nuovi affatto per lei, o sentiva narrare di certe vergogne subìte, di certi oscuri delitti commessi quotidianamente, e s’accertava che tutti quei racconti non erano fiabe ma fatti che si verificavano ogni giorno, che erano la storia vera e viva della grande città. Così, a misura che vedeva più gente e più cose che alla gente appartengono, a misura che osservava più da vicino, e che ogni cosa prendeva ai suoi occhi una forma più chiara e precisa, le veniva una paura superstiziosa di tutto quello che udiva, un ribrezzo morale indefinito, simile alla paura di una malattia contagiosa; le pareva che una povera ragazza come lei fosse più d’ogni altra esposta a subire tutto il male che ci poteva essere, ma non sapeva che male fosse; era una paura lontana, vaga e senza motivo.

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